Nel mito del carro e dell’auriga, esposto da Platone nel Fedro, egli immagina che l’anima, in seguito alla morte, sia simile a una biga che cerca il più possibile di risalire al cielo iperuranio, dimora delle Idee, per assorbirne la sapienza.
A causa della propria concupiscenza però, simboleggiata da un cavallo nero, l’anima è facilmente soggetta a precipitare nuovamente verso il basso, cioè a reincarnarsi.
Chi è precipitato subito rinascerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l’Iperuranio per un tempo più lungo conserveranno più facilmente il ricordo delle idee.
La conoscenza dunque consiste propriamente nel ridestarsi di un sapere già presente in forma latente nella nostra anima, ma che era stato dimenticato al momento della nascita ed era perciò inconscio: conoscere significa pertanto ricordare.
Secondo Platone, il ricordo avviene in forma immediata e intuitiva, per lampi improvvisi, ma deve essere stimolato dalla percezione sensibile, la quale dunque svolge un ruolo importante, poiché offre all’intelletto lo spunto per avviare la reminiscenza.
Egli descrive il concetto di innatismo soprattutto nel Menone, dove riferisce come Socrate riesca ad aiutare uno schiavo privo di cultura a comprendere il teorema di Pitagora.
Platone vede in questo episodio la conferma della teoria dell’innatismo: nonostante l’ignoranza in cui si trovava, lo schiavo può ritrovare da sé i passaggi logici di quel teorema perché evidentemente erano già presenti in forma latente nella sua mente, avendoli visti nel mondo Iperuranio delle idee prima di incarnarsi.
È stato sufficiente quindi attivare il processo del ricordo tramite la maieutica socratica.
Aristotele si opporrà all’innatismo platonico criticando la dottrina delle idee in favore di una rivalutazione dell’esperienza sensibile ma nello stesso tempo egli sarà all’origine di una diversa forma d’innatismo, che consiste in capacità e attitudini umane di organizzare le conoscenze, che sarà ripresa dallo stoicismo con la teoria delle communes notiones e del consensus gentium.
Su di essa Cicerone fonderà la concezione etica cosmopolitica dell’origine delle leggi.