Un’altra differenza con il teatro contemporaneo era dovuta al fatto che le opere portate in scena durante le grandi Dionisie di Atene erano in gara tra di loro.
Di questa particolare competizione si occupava l’arconte eponimo, un magistrato che selezionava tre poeti tragici e cinque autori comici.
Designava inoltre un corego, scelto tra l’élite della città per reclutare i membri del coro e farsi carico dei costi.
Personaggi tragici
Prima della gara gli autori anticipavano il contenuto delle opere che avrebbero inscenato nel proagon (proagone).
Il verdetto finale dipendeva da dieci giudici eletti mediante sorteggio, uno per ciascuna delle tribù in cui si divideva l’Attica, la regione a cui apparteneva Atene.
Il trionfatore otteneva una corona di edera e altri premi.
I temi trattati nelle tragedie provenivano in genere dall’immaginario mitico tramandato per secoli tra i greci. Una delle fonti principali era senza dubbio la guerra di Troia.
Per esempio Sofocle dedicò il dramma Filottete all’omonimo eroe morso da un serpente durante il viaggio per Troia.
A causa della ferita maleodorante che contaminava l’aria attorno a lui, era stato abbandonato dagli achei sull’isola di Lemno.
Anche la casa regnante di Micene ispirò delle tragedie, come l’Orestea, trilogia di Eschilo, in cui si ricostruivano prima l’assassinio di Agamennone per mano della moglie Clitennestra e dell’amante Egisto, poi la vendetta del figlio di questa, Oreste, e infine l’assoluzione del giovane per intercessione della dea Atena.
Euripide riuscì a vincere il terzo premio nelle Dionisie del 431 a.C. presentando un’opera su Medea, una donna di origine straniera che si vendica del marito infedele, Giasone, uccidendo i figli da lui avuti.
In genere le tragedie proponevano situazioni estreme che illustravano agli spettatori l’entità del crimine e della colpa, il potere del destino e l’insignificanza degli uomini davanti agli dei.
Gli attori indossavano una maschera in cuoio, o olona, ma se ne sono conservate solo le rappresentazioni scultoree, come questa in bronzo
Gli attori indossavano una maschera in cuoio, o olona, ma se ne sono conservate solo le rappresentazioni scultoree, come questa in bronzo
Anche la commedia ebbe origine dai riti dionisiaci, che includevano canti dal contenuto burlesco e festivo, ma con il tempo virò verso la satira sociale e politica.
La Lisistrata di Aristofane, ad esempio, raccontava lo sciopero del sesso delle donne ateniesi che volevano così impedire ai mariti la guerra.
Gli attori ricevevano il nome di hypokrites, derivato dalla parola hypokrínomai, “interpretare” o “rispondere”. Erano incaricati infatti di ribattere al coro.
Nei primi tempi c’era un solo attore.
Eschilo ne introdusse un secondo e Sofocle arrivò a tre “attori di accompagnamento” o synagonistai. Esistevano anche i personaggi muti o figuranti, detti kopha prosopa, cioè maschere mute.
Nell’opera uno stesso artista poteva impersonare più ruoli, e per questo necessitava di una notevole preparazione, non solo mentale ma anche fisica.
Visto che le donne non potevano calcare il palcoscenico, gli uomini erano costretti a interpretare i ruoli femminili.
Si formarono inoltre stirpi d’interpreti e, secondo alcune testimonianze storiche, le città gli riconobbero il diritto d’immunità e di libera circolazione.
Il coro interpella lo spettatore
Il coro era composto da dodici persone, e fu Sofocle a portarlo a quindici.
La sua funzione variava a seconda dell’opera e del ruolo conferitogli dall’autore.
A capo del gruppo c’era il corifeo, il membro più importante.
Si disponeva al centro della fila più vicina agli spalti e cercava sia la vicinanza sia la complicità degli spettatori. Di solito a lui erano destinate le parti recitate e i dialoghi con gli attori, mentre il resto del coro interpretava i frammenti lirici.
Nelle commedie il numero dei membri del coro poteva aumentare e gli indumenti erano più variegati.
I greci già curavano quella che oggi è detta “messa in scena”.
Alcuni eventi o dettagli non si potevano mostrare, come per esempio la morte di un personaggio, e il pubblico lo veniva a sapere tramite un messaggero che portava la notizia o tramite la presentazione velata del cadavere, adagiato sullo sfondo.
Non solo: si cercava anche di sorprendere gli astanti con espedienti diversi.
Grazie alle gru i personaggi potevano volteggiare sopra il palco, comparire all’improvviso o scomparire.
Si narra che fu Euripide il primo a servirsi di tale stratagemma nell’opera Medea, quando la protagonista si alzò in cielo su un carro di fuoco.
Spettatori rumorosi
L’uditorio era in genere costituito dai cittadini.
A quanto pare, i bambini assistevano a tutte le rappresentazioni, anche alle tragedie, malgrado le trame fossero a volte complesse.
Non è invece chiaro se in epoca classica le donne potessero recarsi a teatro, mentre in epoca ellenistica lo facevano sicuramente.
E non bisogna immaginare un pubblico in religioso silenzio, come avviene oggi.
A volte addirittura non si riusciva a tenere a bada l’emozione.
Secondo la leggenda, quando Frinico portò in scena La presa di Mileto, un’opera che raccontava la conquista della città dell’Asia minore da parte dei persiani, si dovette sospendere lo spettacolo per i singhiozzi della platea.
Altre volte i partecipanti reagivano con commenti, grida o fischi che interrompevano la fluidità della recitazione.
E potevano pure lanciare agli attori fichi secchi o altre cibarie che avevano portato con sé per affrontare la lunga durata delle gare.