In quanto capo del movimento per l’indipendenza dell’India, Gandhi mise in pratica metodi di resistenza non violenta che riuscirono a entusiasmare le folle dei compatrioti e furono d’ispirazione per altri movimenti per i diritti civili
Il Mahatma Gandhi è forse uno dei nomi più universalmente conosciuti della storia. La sua lotta per l’indipendenza dell’India lo ha reso un eroe per i suoi connazionali, che lo considerano il padre del loro Paese.
Gandhi portò all’attenzione mondiale la sua causa, la lotta contro l’ingiusto dominio britannico, con metodi rivoluzionari basati sul totale rifiuto della violenza, come la disobbedienza civile e gli scioperi della fame. Queste strategie galvanizzarono le masse dei suoi compatrioti e ancora oggi ispirano altri movimenti civili.
Paradossalmente, la vita di questa icona della pace si concluse violentemente il 30 gennaio 1948, quando un giovane fanatico indù gli sparò tre volte a bruciapelo. Gandhi morì senza poter rimarginare le ferite causate dal processo di decolonizzazione, che aveva lasciato il subcontinente diviso in due Paesi separati dalla religione – il Pakistan musulmano e l’India induista – e profondi traumi all’interno di entrambe le comunità.
Il background religioso
Mohandas Karamchand Gandhi nacque il 2 ottobre 1869 in una famiglia di casta vaishya (agricoltori, commercianti, artigiani) a Porbandar, capitale di un piccolo principato sulla costa nord-occidentale dell’India, nell’attuale stato del Gujarat. Figlio di Karamchand Gandhi, un alto funzionario indù, e della sua quarta moglie, Putlibai, una donna profondamente religiosa e austera, Gandhi crebbe in un ambiente moralmente rigoroso, caratterizzato dalla non violenza, dal vegetarianismo, dal digiuno e dalla tolleranza verso altre fedi e religioni. Sopra, Gandhi (a sinistra) in una foto scattata con un amico adolescente.
L’inizio della lotta
Nel 1893, quando aveva 24 anni, Mohandas Gandhi si recò in Sudafrica per lavorare come avvocato di un’azienda commerciale indiana. Secondo il giovane, il fatto di essersi laureato presso un’università di Londra, di parlare un ottimo inglese e d’indossare gli abiti del perfetto gentleman gli avrebbe consentito di sentirsi cittadino a pieno titolo dell’impero britannico. Eppure, appena arrivato, mentre viaggiava in treno con un biglietto di prima classe, venne allontanato dal vagone perché considerato “nero”. L’esperienza lo segnò, come lo segnò osservare gli abusi e le discriminazioni legali che dovevano subire i lavoratori indiani emigrati in Sudafrica. D’improvviso Gandhi diventò il capo della sua comunità. Nei 20 anni che trascorse in Sudafrica elaborò un metodo di lotta politica che chiamò satyagraha (insistenza per la verità), e che consisteva nello sfidare le autorità tramite atti di disobbedienza pacifica. Nell’immagine, Gandhi (al centro, seduto) con altri membri dell’associazione di difesa degli indiani in Sudafrica.
Leader dei paria
Tornato in India nel 1915, nel bel mezzo della Prima guerra mondiale, Gandhi rimase sullo sfondo della politica, sostenendo lo sforzo bellico della Corona britannica da un lato e denunciando gli abusi delle autorità coloniali dall’altro. Ma ancora una volta un evento spietato lo risvegliò dal suo letargo: nel febbraio 1919 l’approvazione dei Rowlatt Acts, che autorizzavano le autorità britanniche a imprigionare senza processo coloro che erano sospettati di sedizione, suscitò una grande opposizione tra la popolazione indiana, seguita da una dura repressione britannica. Gandhi lanciò un nuovo satyagraha, il movimento di disobbedienza civile di massa, promuovendo boicottaggi contro le aziende e il governo britannici. Il 22 settembre 1921 prese una decisione cruciale riguardo al proprio aspetto, abbandonando il suo solito abito gujarati e indossando un semplice khadi dhoti (perizoma) di appena 11 cm, l’abito tradizionale dei contadini poveri dell’India, che rafforzò la sua immagine di austerità e il suo legame con i diseredati.
Contro il raj
Il raj britannico (nome del regime coloniale instaurato dall’impero britannico nel subcontinente indiano a partire dal 1858) vedeva in Gandhi un pericolo per il suo dominio coloniale. Dopo che questi divenne leader del Congresso nazionale indiano, il movimento di Gandhi crebbe e migliaia di seguaci accettarono volentieri il carcere. Gandhi stesso fu arrestato nel 1922 e condannato a sei anni di prigione. Fu rilasciato nel 1924, dopo aver subito un’operazione di appendicite: nella foto qui sopra lo si vede convalescente nella sua casa di Mumbai.
Per l’indipendenza
Nel 1927 per valutare una riforma costituzionale in India il governo britannico nominò una commissione che non includeva nessun indiano. Alla sessione del Congresso nazionale indiano tenutasi a Calcutta nel dicembre 1929 Gandhi presentò la risoluzione cruciale che chiedeva al governo britannico un nuovo status di dominion (ex-colonia dotata di semi-autonomia) entro un anno, sotto la minaccia di una campagna nazionale non violenta per la completa indipendenza, che avrebbe incluso il non pagamento delle tasse. Sostenitori della lotta satyagrahi di Gandhi a Bombay reggono un cartello con la scritta «La piena indipendenza è il nostro obiettivo immediato».
La marcia del sale
Nella lotta contro il dominio britannico Gandhi doveva trovare il modo di mobilitare una popolazione di più di trecento milioni di persone. Una di queste fu la protesta che pianificò nel 1930 contro il monopolio del governo britannico sulla produzione e vendita del sale, su cui vigeva una pesante tassa. Gandhi decise d’intraprendere una marcia dal suo ashram (residenza comunitaria) a Sabarmati fino a Dandi, sulla costa dell’oceano Indiano, a 385 chilometri di distanza, dove avrebbe raccolto il sale in conclamata violazione delle leggi britanniche. Quando espose l’idea all’amico e alleato Motilal Nehru, questi rise e gli disse che era un’impresa donchisciottesca, ma, come Gandhi avrebbe affermato più tardi, «dovevo pensare in termini di milioni di compatrioti […] In seguito [Nehru] vide con i suoi occhi lo svegliarsi delle masse. Era quasi qualcosa di magico». Decine di migliaia d’indiani, infatti, si unirono alla marcia e iniziarono a raccogliere il sale in tutto il Paese. Se nei primi tempi le autorità britanniche avevano sottovalutato il movimento, risposero poi con una dura repressione che condusse in carcere 60mila persone, tra cui lo stesso Gandhi.
Carisma e propaganda
La lotta contro i britannici diede a Gandhi (soprannominato dai compatrioti Mahatma, grande anima) fama mondiale, che lui stesso cercò di utilizzare a beneficio della causa indiana. Così fece per esempio nel 1931, quando si recò a Londra come rappresentante dei nazionalisti indiani in una trattativa con il governo britannico. Il risultato delle negoziazioni fu deludente, eppure il viaggio divenne una notevole operazione di propaganda. Gandhi si presentò vestito con una semplice tunica, i sandali e la testa rasata, l’aspetto che aveva adottato dieci anni prima come dimostrazione di vicinanza ai poveri. Quando, già a Londra, gli chiesero se, così vestito, avrebbe sopportato le temperature (era settembre), rispose: «Il mio abito è il simbolo della mia missione». Venne acclamato a Marsiglia, a Roma, a Ginevra, e perfino a Manchester, dagli stessi operai i cui tessuti Gandhi invitava a boicottare. Nella fotografia lo vediamo all’arrivo a Londra.
Simbolo della resistenza
Gandhi decise di trasformare l’arcolaio, o charka, in un simbolo della lotta per l’indipendenza. Esortava i compatrioti a filare nelle proprie case, in modo tale da poter boicottare gli abiti britannici importati che avevano gettato sul lastrico l’industria tessile nazionale. Abiti che, tra l’altro, fece bruciare in grandi falò. Insistette sul fatto che tutti dovessero dedicare una parte della giornata a filare (lui lo faceva anche per tre ore al giorno), e che tale occupazione dovesse essere introdotta a scuola. Per Gandhi il charka aveva un valore spirituale: «Mentre filo penso» scrisse. «Penso a molte cose, e cerco di mantenere fuori ogni sentimento negativo. L’arcolaio vi insegnerà più di quanto io possa insegnarvi: pazienza, industria, semplicità».
Il digiuno, arma del satyagraha
Poiché era un indù devoto, era abituato al digiuno, inteso quale forma di penitenza o purificazione personale. Gandhi capì che quello che oggi chiamiamo sciopero della fame poteva essere un valido metodo di lotta politico. «Sono giunto alla conclusione che il digiuno fino alla morte è parte integrante del programma del satyagraha, e che in determinate circostanze esso rappresenta l’arma più grande ed efficace del suo arsenale». Credeva che il digiuno, in quanto atto spirituale rivolto a Dio, avesse l’effetto di svegliare le coscienze degli altri. La particolarità di Gandhi è che la maggior parte dei suoi digiuni cercava di avere un impatto non tanto sulle autorità britanniche, quanto piuttosto sui suoi stessi compatrioti, come nella protesta per la discriminazione dei paria, o intoccabili, o nel tentativo di porre un freno agli scontri tra indù e musulmani. L’aveva già usato al momento della sua uscita di prigione nel 1924, quando aveva trovato il movimento indiano completamente diviso in fazioni e senza unità tra musulmani e induisti, e aveva intrapreso un digiuno di tre settimane per incoraggiare la gente a seguire la via della non violenza. Nell’immagine vediamo Gandhi durante un digiuno nel 1939, disteso sul letto per risparmiare energie.
Lasciate l’India!
L’impulso non violento di Gandhi contro le autorità britanniche s’intensificò nel luglio del 1942, quando il Congresso nazionale indiano approvò una risoluzione nota come Quit India (lasciate l’India), che esortava i britannici a concedere la piena indipendenza al Paese sotto la minaccia di ulteriori misure di disobbedienza civile di massa. In un discorso tenuto a Bombay l’8 agosto il Mahatma incoraggiò gli indiani a disobbedire alle autorità coloniali. Il giorno successivo fu arrestato insieme a Jawaharlal Nerhu e ad altri leader del partito. Seguì immediatamente un’ondata di proteste, che furono violentemente represse dall’esercito coloniale (come nella foto sopra). Il movimento entrò quindi in clandestinità. Furono formati governi paralleli e i messaggi furono trasmessi attraverso una stazione radio clandestina.
Boicottaggio dei treni
Il movimento vide la partecipazione su larga scala di persone di tutte le età. Negli anni successivi centinaia di migliaia di persone presero parte a proteste non violente in tutto il Paese. L’immagine qui sopra, scattata nel 1945, mostra decine di indiani che collaborano a una campagna di disobbedienza civile volta a bloccare il traffico ferroviario.
Indipendenza amara
Dopo anni di tentativi di controllo su una colonia chiaramente ingovernabile, le autorità britanniche decisero di ritirarsi dall’India e di concedere al Paese l’indipendenza. Ma fu una vittoria amara per Gandhi: l’indipendenza avvenne al prezzo di una divisione del Paese a causa delle inconciliabili differenze tra musulmani (che fondarono un proprio stato, il Pakistan) e induisti. L’immagine mostra la cerimonia d’indipendenza dell’India a Nuova Delhi il 15 agosto 1947, dalla quale Gandhi si assentò per trascorrere una giornata di digiuno, preghiera e filatura a Calcutta.
Una fine violenta
Il 30 gennaio 1947 Gandhi si stava recando con due compagni alle preghiere serali a Nuova Dehli quando un giovane radicale indù legato ad ambienti di estrema destra, Nathuram Vinayak Godse, emerse dalla folla e sparò tre colpi a bruciapelo contro di lui. Il Mahatma fu immediatamente portato nella sua stanza, ma non poté essere rianimato. Poco dopo fu dichiarato morto. Il giorno successivo si tenne un funerale di massa, a cui parteciparono centinaia di migliaia di persone. Quando il corteo arrivò sulle rive del fiume Yamuna il corpo di Gandhi fu posto su una pira accesa dal suo terzo figlio, Ramdas. Le ceneri furono raccolte e poste in diverse decine di urne, che furono inviate in varie parti del Paese per essere omaggiate dalla popolazione. Il 14 febbraio le ceneri furono immerse nei fiumi e nei mari di tutta l’India con una cerimonia coordinata.