Il centauro è una delle figure mitologiche più affascinanti dell’antichità. Il suo corpo è diviso in due parti: la parte superiore è composta da un busto umano, la parte inferiore invece è costituita dal corpo di un cavallo. Il termine “centauro” deriva da Centauro, figlio di Issione, sovrano dei Lapiti, la più antica tribù della Tessaglia (Grecia).
La doppia natura del corpo dei centauri, metà umana e metà animale, si riflette nella loro psiche: nei numerosi miti che li vedono protagonisti, i centauri sono autori di gesti di grande nobiltà e, in altri racconti, di terribile e mostruosa bestialità.
Secondo il Dizionario dei Simboli (Chevalier-Gheerbrandt), i centauri sarebbero “Esseri mostruosi della mitologia greca, con testa, braccia e busto umani, il resto del corpo e le zampe di cavallo.
[…] Secondo la leggenda, sono ripartiti in due grandi famiglie: i figli nati dall’unione di Issione con una nuvola, che rappresentano la forza bruta, insensata e cieca, e i figli di Filira e di Crono, di cui il più celebre è Chirone, che rappresentano invece la forza benefica, al servizio dei giusti combattimenti.
[…] Nelle opere d’arte il volto dei Centauri è di solito intriso di tristezza. Rappresenterebbero la concupiscenza carnale, con tutte le sue brutali violenze, che rende l’uomo simile alle bestie quando non è equilibrata dalla potenza spirituale. Sono un’immagine toccante della duplice natura dell’uomo, bestiale e divino al tempo stesso”.
Nei centauri gli aspetti più nobili e più primitivi dell’uomo sarebbero portati al loro estremo. Ne è un esempio del primo tipo il re dei centauri Eurizione, autore di gesti efferati, violenze e brutalità; del secondo tipo invece Chirone, il nobile centauro maestro di Ercole e di Achille.
Chirone era considerato un grande maestro delle arti, capace di guarire ogni tipo di ferita e di insegnare con grande abilità il tiro con l’arco. Le grandi doti di Chirone con le erbe mediche ne fanno uno dei capostipiti mitici della medicina e della scienza erboristica.
La sua saggezza e la sua bontà d’animo era tanto proverbiale da rendere questo mitico centauro una figura nota anche nel medioevo e nell’età moderna: sia Dante sia Macchiavelli infatti lo citano nelle loro opere.
Tuttavia, i centauri sono noti anche per la loro violenza e irascibilità: fu necessario l’intervento di Ercole per scacciare queste mitiche creature dalla Tessaglia, una regione della Grecia devastata dalle scorribande dei centauri, ubriachi e incontrollabili.
Lo psicoanalista junghiano Luigi Zoja vede nei centauri la metafora della violenza maschile; in particolare, i centauri, agendo in branco, non sarebbero in grado di vedere la brutalità delle loro azioni. Così, l’agire “in branco”, degli uomini porterebbe al rifiuto di ogni forma di consapevolezza e responsabilità rispetto ai crimini commessi.
Il centauro sarebbe quindi il “cono d’ombra metaforico” dell’identità maschile, catturata nella sua primitiva spirale di violenza.
Zoja afferma che:
“quando la convivenza civile si spacca, sotto la spigolosa crosta del patriarcato occidentale – in cui ci piaccia o no, abbiamo vissuto – non compare il mondo più rotondo della Grande Madre, che antropologia, psicoanalisi e femminismo hanno rivestito di seni nutrienti e condotte affettive: riemerge invece direttamente un maschio animale”.
Nel centauro avremmo quindi la rappresentazione di un conflitto irrisolto, tra pulsione e Civiltà, tra Thanatos ed Eros, tra razionale e irrazionale.
La mancata sintesi tra queste forze antitetiche si rifletterebbe in una conflittualità che vede, in diversi momenti, prevalere una delle due parti. La forma stessa del centauro rimanda alle nebbie antiche della vita prima dell’imporsi della Civiltà, nella quale il confine tra umano e natura, tra legge e vita selvaggia, era ancora incerto.