Il cannibale, ma coltissimo Hannibal Lecter, impersonato da uno strepitoso Anthony Hopkins, nel “Silenzio degli Innocenti” così si rivolge a Sterling (Jodie Foster): “Leggi Marco Aurelio! Di ogni singola cosa chiedi cos’è in sé, qual è la sua natura!”.
L’imperatore filosofo ci viene presentato con indosso il “sagum” da viaggio e pare nell’atto di celebrare una vittoria.
Dignitoso e regale, cavalca col braccio destro teso, trasmettendo grande serenità.
La calma e la spiritualità del volto testimoniano che vanagloria ed alterigia sono estranee alla sua persona.
La statua di Marco Aurelio, che nel 1538 Michelangelo collocò nel bel mezzo della piazza del Campidoglio, a Roma, nel Medioevo era conosciuta come “Caballus Costantini”, perché a torto la si riteneva una raffigurazione del primo imperatore cristiano.
Soltanto grazie a questo provvidenziale scambio d’identità, il bronzo si salvò dalla fusione che invece fece altre vittime illustri fra le statue della classicità, permettendoci così di ammirare questo capolavoro presso i Musei Capitolini.
Nato a Roma nel 121 e rimasto subito orfano di padre, Marco Aurelio fu cresciuto dal nonno paterno e dalla mamma, da cui ereditò il culto per la “pietas” religiosa, oltreché i modi frugali che avrebbero caratterizzato tutta la sua vita.
Fu l’imperatore Adriano ad imporre al suo erede Antonino Pio di adottarlo come figlio, quando il ragazzo aveva 17 anni.
Questa scelta velocizzò la sua ascesa sociale e il conseguente “cursus honorum”, che in rapida successione gli guadagnò le cariche di “tribunus monetalis” e poi di “tribunus militum”.
Dopo la scomparsa di Adriano, Antonino Pio volle ulteriormente rinsaldare i vincoli parentali con lui concedendogli in sposa sua figlia Faustina, dalla quale Marco Aurelio avrebbe avuto ben 13 figli, oltreché nominandolo console.
Diventato a sua volta imperatore nel 161, Marco Aurelio portò a compimento quella che fu definita “l’Età dell’oro” del II secolo, che vide l’Impero Romano toccare il suo apogeo non solo in termini di estensione territoriale, ma anche come centro di potenza, ricchezza e irradiazione culturale.
Certamente il suo principato non fu immune da guerre, carestie e rivolte ma, da monarca illuminato quale fu, Marco Aurelio si dimostrò in ogni circostanza rispettoso delle prerogative del Senato, che coinvolse in tutte le decisioni importanti.
Istituì l’anagrafe, riformò il processo penale ripulendolo da abusi e condanne non basate su prove certe, regolarizzò le vendite pubbliche punendo severamente malversazioni e ruberie, colpì l’usura e preferì spendere il denaro in opere di pubblica utilità, piuttosto che in feste e giochi gladiatori.
Il suo più grande lascito alla posterità è tuttavia costituito dai dodici libri di ricordi e meditazioni intime scritte in greco, in forma aforistica.
Si tratta delle “Tà eis eautòn” (cioè: “I pensieri per se stesso”), opera non destinata alla pubblicazione bensì all’uso personale, improntata allo stoicismo classico di Epitetto e alla filosofia di Seneca.
Ciò nonostante, i suoi “Pensieri” col passare dei secoli, sono diventati un best seller amato da milioni di persone, lettura prediletta di presidenti e generali, fra i quali Napoleone che ne conservò sempre una copia sul suo comodino.
Il lettore, anche se nei panni di un ficcanaso che sbircia nel diario intimo di un’altra persona, afferra l’importanza attribuita da Marco Aurelio alla provvidenza divina, vista come forza ordinatrice dell’Universo.
E’ infatti con queste frasi che egli si rivolge al Cosmo: “Da te ogni cosa, in te ogni cosa, verso di te ogni cosa”, ma anche “Pensa continuamente che il Cosmo è come un unico essere vivente che racchiude in sé una sostanza e una sola anima”.
Dopo la morte, Marco Aurelio ammette dunque la possibilità che l’anima si ricongiunga con la ragione cosmica, concetto non così distante dal Dio dei Cristiani, da lui però perseguitati in ossequio alla fedeltà per la religione tradizionale dell’Impero.
Forse anche per questo motivo, il pensiero di Marco Aurelio per tanti secoli cadde in un limbo fatto di oblio e ignoranza, dal quale sarebbe uscito nel 1559 con la prima edizione a stampa della sua opera, poi affermatasi in tutta la sua validità come metodo di ricerca interiore particolarmente adatta alla psiche dell’uomo contemporaneo.
Quando morì il 17 marzo del 180, certo non poteva immaginare che quei suoi pensieri tanto intimi e personali, a distanza di quasi due millenni dalla sua scomparsa, ancora tanta saggezza e consolazione avrebbero arrecato all’uomo contemporaneo.
Accompagna questo scritto la “Statua equestre di Marco Aurelio”, autore sconosciuto, 176 d.C., Musei Capitolini, Roma.