Delle otto crociate contro l’islam, la prima fu l’unica a conquistare Gerusalemme al termine di una violenta spedizione durata tre anni
Prima dell’arrivo dei crociati, Gerusalemme non era stata certo un’oasi di pace. Alla fine del X secolo la città (che i musulmani chiamano al-Quds, “la santa”) era in mano ai califfi fatimidi d’Egitto, di confessione sciita. Nel 996 salì al trono del califfato al-Hakim, un personaggio spesso in preda ad attacchi di rabbia, crudeltà e fanatismo. Nel 1009 questi ordinò la distruzione dei santuari cristiani a Gerusalemme, compresa la chiesa del Santo Sepolcro. Anche la sinagoga della città santa sarebbe stata profanata. In seguito il califfo si dichiarò un’incarnazione di Dio e prese provvedimenti contro i musulmani che non lo riconoscevano come tale.
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1021, Gerusalemme attraversò un breve periodo di pace, a cui seguirono le rivolte dei beduini e un forte terremoto che nel 1033 distrusse la moschea al-Aqsa. L’imperatore Costantino IX elargì dei fondi per la ricostruzione della chiesa del Santo Sepolcro e raggiunse un accordo con il governatore fatimide, che stava riparando le mura della città: Costantino avrebbe pagato una parte dei lavori a condizione che solo i cristiani vivessero nella zona corrispondente e potessero formare una propria comunità. I cristiani armeni acquisirono una chiesa sul monte Sion e si riunirono anch’essi in un loro quartiere.
Nel 1071 i turchi selgiuchidi, di fede sunnita, sottrassero la Terra Santa al dominio egiziano e nel 1073 occuparono Gerusalemme. Mantennero un’attitudine conciliante: non saccheggiarono la città e misero delle guardie a protezione dei templi delle differenti confessioni. Ma quando nel 1077 i sostenitori dei fatimidi si ribellarono, i turchi misero da parte ogni compassione e sterminarono tremila abitanti. I fatimidi riconquistarono Gerusalemme nell’agosto del 1098, dopo un assedio durato sei mesi. Solo dieci mesi più tardi i crociati comparvero davanti alle mura della città.
Il conte Raimondo IV di Tolosa, capo delle truppe crociate della Provenza, si accampò a sud di Gerusalemme, mentre gli altri principi (Goffredo di Buglione, Tancredi di Altavilla, Roberto di Normandia e Roberto di Fiandra) si posizionarono a nord. Da est e da ovest sarebbe stato più difficile attaccare a causa dagli avvallamenti e del maggiore spessore delle mura. Il 14 luglio 1099 i crociati iniziarono a bombardare la cinta settentrionale con tre manganelle (delle specie di catapulte), costringendo i difensori a ritirarsi e approfittando dell’occasione per incendiare con delle frecce infuocate i sacchi di paglia posti a protezione dei bastioni. Nel frattempo la parte esterna della duplice muraglia cedette sotto i colpi di un enorme ariete. La breccia permise ai crociati d’introdurre la torre e posizionarla sotto le mura più interne. Una pioggia di frecce incendiarie allontanò i difensori dalle merlature, consentendo ai crociati di calare il ponte levatoio. I fratelli Litoldo e Gilberto di Tournai avanzarono lungo la passerella e furono tra i primi a entrare in città. Al-Quds era condannata.
Guerra santa: la presa di Gerusalemme
Lo sterminio degli abitanti della città santa da parte dei crociati fu pressoché totale e caratterizzato da una violenza inusitata. Raimondo di Aguilers, che aveva partecipato agli eventi, scrisse: «Alcuni pagani furono misericordiosamente decapitati, altri furono trafitti da frecce o gettati dalle torri, altri ancora furono torturati a lungo e infine bruciati in terribili roghi. Nelle case e per le strade si accumulavano mucchi di teste, mani e piedi, e i cavalieri correvano da una parte all’altra calpestando i cadaveri». Per quanto i dati siano stati esagerati o minimizzati dalla propaganda delle varie parti, secondo le stime più plausibili ci furono quasi 30mila morti, per lo più musulmani, oltre a circa duemila ebrei e ai cristiani di fede ortodossa, siriana o armena che non avevano abbandonato la città.
Le fonti cristiane riconoscono l’enormità della carneficina e riportano che i pochi sopravvissuti furono costretti a raccogliere i corpi che imputridivano al suolo e ad ammucchiarli su pire funerarie poste fuori dalla città: «I morti furono bruciati su roghi alti come piramidi e solo Dio sa quanti fossero», si legge in una cronaca dell’epoca intitolata Gesta francorum. Per molti crociati si trattò di una giustificata pulizia etnica e religiosa che annunciava l’avvento di una nuova era. Ma questa esplosione di violenza accrebbe l’odio verso i cristiani tra i musulmani e gli ebrei. I primi avrebbero ripagato le brutalità subite in forme altrettanto crudeli con la guerra santa. La città tornò alla vita solo con l’arrivo dei nuovi coloni dopo la conquista.
A cura di Juan Carlos Losada