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La Cassazione ha la memoria corta?

    di Giuseppe Carmagnini

    Abbiamo appena fatto in tempo a compiacersi che il Ministero dell’interno abbia finalmente cambiato idea sulla questione dell’obbligo di comunicare i dati del conducente quando il verbale con il quale è stata notificata la richiesta, ai sensi dell’articolo 126-bis, comma 2, che la Cassazione è uscita con due sentenze nelle quali ha bacchettato gli organi di polizia che avevano contestato la violazione a carico dell’intestatario del veicolo che, opposto il verbale dal quale discende la decurtazione dei punti, aveva omesso di inviare le generalità complete e i dati della patente del trasgressore all’organo accertatore entro il termine stabilito di 60 giorni dalla notifica del verbale contenente la richiesta.

    A dire il vero, la situazione affrontata dalla prima sentenza che ha dato il via a questo revirement, era parsa effettivamente grottesca e sfugge il motivo per il quale l’amministrazione locale abbia avuto il coraggio di arrivare fino al giudizio di legittimità, per poi vedersi respingere il ricorso e confermare le sentenze che nel merito, giustamente, avevano archiviato il verbale. Il caso, alquanto strano, aveva riguardato la Polizia Locale che nel verbale aveva chiaramente indicato che la comunicazione sarebbe dovuto pervenire entro 60 giorni dal momento in cui si fossero chiusi negativamente gli eventuali ricorsi avverso la contestazione della violazione principale. Il destinatario del verbale aveva presentato ricorso e, seguendo anche le indicazioni dell’organo di polizia, non aveva comunicato i dati del trasgressore, attendendo l’esito del ricorso. Nonostante le istruzioni riportate sul verbale, l’organo di polizia contestava ugualmente la violazione dell’articolo 126-bis, ancorché il ricorso non si fosse ancora concluso e per questo si instaurava un nuovo contenzioso. Il giudice di pace accoglieva il ricorso e l’amministrazione impugnava la decisione in appello, ma anche il tribunale confermava l’infondatezza del verbale e, quindi, non soddisfatti delle decisioni di merito, si arrivava in Cassazione dove i giudici di legittimità davano atto di questa situazione e confermavano le decisioni di prime cure, sul fatto che in pendenza di ricorso si sospende il termine per comunicare i dati del conducente. (1)

    Ad analoghe conclusioni è pervenuta la medesima sezione della Cassazione (Corte di Cassazione Civile sez. II 1/2/2024 n. 3022) che si è occupata di una sentenza di appello che ribaltava la decisione del giudice di pace, il quale aveva accolto il ricorso sulla base del ragionamento che il ricorso di per sé sospende il termine per comunicare i dati del conducente. Gli ermellini, annullavano la sentenza del tribunale e con termini che di giuridico (e anche della grammatica) hanno ben poco, sostenevano che “… ove la contestazione presupposta venga tratta ad oggetto di opposizione e il procedimento si definisca con l’annullamento, non si dà perdita di punteggio, né si deve dare quindi sanzione per la mancata comunicazione dei dati personali relativi al conducente. Infatti, non si può retribuire la violazione dell’obbligo di collaborazione nell’accertamento dell’autore dell’illecito stradale, se non sussiste più quest’ultimo. È da dare pertanto continuità all’indirizzo espresso da Cass. 24012/2022 (già richiamata dalla interlocutoria n. 22874/2023), secondo la quale la violazione ex art. 126-bis co. 2 c.d.s. si può dare soltanto quando siano definiti i procedimenti giurisdizionali o amministrativi avverso il verbale di accertamento dell’infrazione presupposta. In caso di esito dei menzionati procedimenti sfavorevole per il ricorrente, l’organo di polizia è tenuto ad emettere una nuova richiesta, dalla cui comunicazione decorre il termine di sessanta giorni ex art. 126-bis co. 2 c.d.s.; mentre in caso di esito favorevole (con annullamento del verbale di accertamento), viene meno il presupposto della violazione de qua.”

    Quindi, la sentenza, richiamando il precedente di cui si è detto, propone anche che debba essere inviata una nuova richiesta al termine dell’opposizione che si sia conclusa con il rigetto, ponendo a carico dell’amministrazione convenuta un nuovo incombente, non previsto dalla legge e che di fatto comporta nuovi oneri che comunque si riverserebbero sul destinatario del verbale. 

    Proprio tale “invenzione” era stata oggetto del cambio di rotta del Ministero dell’interno, che, sollecitato dalle prefetture, ha deciso di seguire l’indirizzo maggioritario della Cassazione, ma, come si dirà di seguito, anche e soprattutto, quello molto più autorevole della Corte Costituzionale. Si legge, infatti, nella circolare del 2022 che: “Peraltro, diverse Prefetture hanno rappresentato che, a seguito di tale orientamento, è stato registrato un elevato tasso di soccombenza nei giudizi avverso i verbali di accertamento ex art. 126-bis cds, la cui notifica effettuata dopo l’esito dei rimedi amministrativi o giurisdizionali esperiti avverso la violazione presupposta, viene ritenuta fuori termine, proprio in considerazione del predetto orientamento giurisprudenziale.”

    La situazione si è invertita. Prima, tutte le prefetture archiviavano i verbali relativi alla violazione dell’articolo 126-bis sulla base della circolare del 2011, mentre la maggior parte dei giudici di pace respingeva i ricorsi motivando le decisioni con i principi consolidati dalla giurisprudenza di merito. Oggi, le prefetture respingono i ricorsi seguendo in nuovo indirizzo del Ministero, mentre una parte dei giudici di pace ha accolto con favore questo revirement della Cassazione e, nonostante avesse in passato respinto i ricorsi perché privi di un appoggio autorevole, ha iniziato a rivedere le proprie posizioni. 

    Eppure la questione è già stata ampiamente risolta dalla Corte Costituzionale 15 anni fa, con la sentenza 306/2009, dove ammonendo il giudice remittente circa l’inattualità della sentenza 27/2005 della medesima Consulta, sulla base dello jus superveniens determinato proprio dall’adeguamento della legge alla dichiarazione di incostituzionalità parziale dell’articolo 126-bis, ha chiarito il concetto di giustificato e documentato motivo. Addirittura, la Consulta ha contraddetto l’Avvocatura di Stato che intervenuta nel procedimento sosteneva l’attualità della sentenza del 2005, ribadendo che l’obbligato in solido non sarebbe tenuto a comunicare i dati del trasgressore sino a che è pendente il ricorso avverso il verbale che determinerebbe, ove confermato definitivamente, la decurtazione dei punti. Non pare nemmeno il caso di sintetizzare i concetti espressi dalla Corte Costituzionale, per tanto sono già chiari e asciutti nel contenuto motivo, per cui se ne riportano testualmente le considerazioni che hanno portato alla dichiarazione di inammissibilità della questione. Sarebbe sufficiente copiare nella comparsa di costituzione le conclusioni della Corte Costituzionale, per chiudere la questione davanti al giudice di pace, obliterando la fuga in avanti della seconda Sezione della Cassazione. Vediamo come ha risposto il Giudice delle Leggi per motivare l’infondatezza della questione e cerchiamo di farlo capire ai giudici di pace, visto che il Ministero, dopo 11 anni ha compreso l’errore in cui era incorso.

    “… l’affermazione del remittente relativa ad un preteso contrasto tra la giurisprudenza di questa Corte e quella di legittimità in ordine al significato da attribuire al «giustificato e documentato motivo» di cui alla norma censurata appare frutto di un erroneo presupposto interpretativo;

    che, difatti, i due indirizzi ermeneutici posti a confronto dal Giudice remittente si riferiscono all’applicazione del comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada in un testo del quale egli, ratione temporis, non deve fare applicazione per decidere la fattispecie oggetto del giudizio principale;

    che tali indirizzi, infatti, si riferiscono alla norma censurata come modificata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214;

    che il remittente, invece, è chiamato a fare applicazione del testo della norma de qua come ulteriormente modificato – tra l’altro sulla scorta di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 27 del 2005 e con l’ordinanza n. 244 del 2006 – dall’art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286;

    che, pertanto, nella presente ipotesi deve affermarsi «che il ricordato orientamento giurisprudenziale è incongruamente evocato, essendo sorto sulla base di una legislazione precedente a quella ora in esame», donde la manifesta infondatezza della questione sollevata (ordinanza n. 254 del 2008);

    che, in ogni caso, l’esito della declaratoria di manifesta infondatezza della prima questione, relativa al significato da attribuire al «giustificato e documentato motivo» di cui alla norma censurata, si impone anche per l’ulteriore ragione che il remittente ha ignorato quanto affermato da questa Corte proprio con riferimento al significato da attribuire al testo della norma del quale egli deve fare, invece, applicazione;

    che è stato, infatti, chiarito come non sia «corretto affermare che la disposizione in contestazione costringe i soggetti tenuti alla comunicazione “a doversi procurare ex post e per iscritto la prova dell’esimente”, giacché l’onere di documentazione, su di essi gravante, non investe l’impossibilità di comunicare, bensì semplicemente (…) quelle circostanze idonee a rivelare la non esigibilità, nel caso di specie, dell’obbligo di trasmissione dei dati» (ordinanza n. 424 del 2008);

    che, quindi, nulla impedisce al Giudice remittente – per concludere sul punto – di verificare se la ricorrente abbia adeguatamente documentato, nel rendere la sua dichiarazione “negativa”, e dunque affermando «di non essere in grado di risalire al guidatore dell’auto al momento della violazione», l’esistenza di quelle circostanze suscettibili di rivelare la inesigibilità di una comunicazione avente un diverso (e “positivo”) contenuto;

    che le considerazioni appena svolte, peraltro, condizionano anche l’esito della seconda questione sollevata;

    che, una volta esclusa l’esistenza di un impedimento a carico del giudice a quo nella definizione del giudizio principale in senso favorevole alla ricorrente, non si comprende in quale misura egli sarebbe impossibilitato ad «aderire alla richiesta di annullamento», e ciò a causa della ulteriore circostanza che la sua decisione deve essere adottata prima della (e a prescindere dalla) «intervenuta definitività dell’accertamento della violazione» in relazione alla quale era stata richiesta, alla proprietaria del veicolo, la comunicazione prescritta dall’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada;

    che, sotto questo profilo, dunque, deve concludersi che la mancata illustrazione, da parte del rimettente, delle pretese ragioni che conferiscono carattere “pregiudiziale” al primo giudizio radicato dalla parte opponente (quello avente ad oggetto l’annullamento del verbale di accertamento dell’infrazione stradale ex art. 142 del codice della strada), rispetto a quello principale, si risolve in una carenza di descrizione della fattispecie e, di riflesso, in un difetto di motivazione sulla rilevanza della seconda questione sollevata, donde la sua manifesta inammissibilità (in tal senso, da ultimo, ordinanze n. 219 e n. 157 del 2009);

    che tale esito, vieppiù, si impone ove si consideri che il primo degli argomenti dedotti a sostegno di questa ulteriore questione – il solo che appare in astratto conferente (giacché l’altro si riferisce, chiaramente, ad un’ipotesi diversa da quella oggetto del giudizio principale, non riguardando l’impugnativa della sanzione pecuniaria comminata ai sensi del comma 2 dell’art. 126-bis) – costituisce il risultato, anche in questo caso, di un’erronea interpretazione effettuata dal remittente;

    che, infatti, il giudice a quo – nell’assumere la «completa inutilità, per l’amministrazione, di tale anticipata comunicazione» (prevista dalla norma censurata), allorché «la sanzione accessoria della decurtazione dei punti sulla patente divenga inapplicabile in conseguenza dell’annullamento del verbale di accertamento da parte del Prefetto o del Giudice di pace» – ravvisa, impropriamente, una generalizzata connessione tra gli esiti, da un lato, di tali procedimenti e quello, dall’altro, del giudizio avente ad oggetto l’annullamento della sanzione pecuniaria comminata ai sensi del comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada;

    che, per contro, la constatazione che tale norma – specie dopo gli interventi legislativi resi necessari dalla sua parziale declaratoria di illegittimità costituzionale (sentenza n. 27 del 2005) – ha inteso sanzionare un’autonoma infrazione, e cioè l’omissione della collaborazione che il cittadino deve prestare all’autorità preposta alla vigilanza sulla circolazione stradale, smentisce l’assunto del remittente, inducendo a circoscrivere le ipotesi nelle quali senz’altro ricorre un nesso di pregiudizialità tra quei procedimenti ed un giudizio del tipo di quello principale;

    che, difatti, tale evenienza è ravvisabile soltanto quando venga dedotta una circostanza – quale, esemplificativamente, l’avvenuto uso del veicolo contro la volontà del proprietario ovvero l’errore nell’identificazione del numero di targa – idonea ex se ad integrare quel documentato e giustificato motivo al quale da espresso rilievo l’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada”.

    Basterebbe questa precisa ricostruzione della Consulta per redigere la comparsa di costituzione da mettere sul tavolo del giudice per convincerlo che la Cassazione ha deragliato rispetto a quella che è non solo l’applicazione letterale della norma, ma anche quella orientata costituzionalmente.


    (1) Di tale sentenza da atto anche il Tribunale di Bologna (II Sezione civile, Sentenza 13 dicembre 2022, n. 3285) in questi termini “In consapevole dissenso rispetto all’orientamento maggioritario si pone, isolata, a quanto consta, fra le più recenti decisioni, Cass., sez. II, ord. 3 agosto 2022, n. 24012 (con richiamo a Cass., sez. VI-2, 6 ottobre 2014, n. 20974, che nel paragrafo 2.2. parla di obbligo di comunicazione sospeso e condizionato all’esito del ricorso in primo grado, con decorrenza di un nuovo termine dal deposito della sentenza provvisoriamente esecutiva ex art. 282 c.p.c. che aveva respinto il ricorso). Cass., sez. II, ord. 3 agosto 2022, n. 24012, che ravvisa piuttosto una interruzione e non una sospensione dell’obbligo a carico del proprietario, riguarda però un caso (ben diverso da quello ora in esame) nel quale il verbale di accertamento presupposto notificato al proprietario conteneva l’avvertimento che l’obbligo di comunicazione dei dati del conducente entro sessanta giorni, ai sensi dell’art. 126-bis, comma 2, c.d.s., sarebbe decorso, in caso di ricorso avverso il predetto verbale, dalla data di notifica del provvedimento con cui sarebbero stati definiti i rimedi giurisdizionali o amministrativi previsti dalla legge (v. il par. 7 dell’ordinanza; diversi l’approccio e la motivazione di Cass., sez. VI-2, ord. 31 ottobre 2022, n. 32091). Ovviamente il Tribunale si è discostato da questa isolata pronuncia, citando parte dell’indirizzo maggioritario, fatto proprio dal giudicante felsineo: “Si vedano in proposito, fra le altre, Cass., sez. VI-2, ord. 28 dicembre 2021, n. 41765 e Cass., ord. sez. III, 5 maggio 2020, n. 8479, con richiamo a Cass., sez. II, ord. 9 luglio 2018, n. 18027, che a sua volta accoglie la soluzione proposta da Cass., sez. II, 23 luglio 2015, n. 15542 e Cass. sez. II, 10 novembre 2010, n. 22881. Si veda inoltre, a contrario, Cass., sez. VI-2, ord. 31 ottobre 2022, n. 32091.”