La ricorrente, individuata come aggiudicataria, aveva poi stipulato con il Comune apposito contratto, a cui però non aveva fatto seguito la consegna dei lavori.
Il Comune, infatti, con apposita determinazione di “Revoca in autotutela” disponeva la revoca dell’aggiudicazione già disposta a favore della ricorrente.
Il Tar Calabria respinge il ricorso avverso l’atto di revoca, ribadendo la distinzione tra revoca e annullamento in autotutela.
Questa la decisione di Tar Calabria, Reggio Calabria, 6 febbraio 2025, n. 94:
- Nel merito, il ricorso è comunque infondato.
- Come già anticipato, il Collegio deve preliminarmente interpretare e qualificare la determinazione impugnata.
- Si premette sul punto che “L’interpretazione giudiziale di un provvedimento amministrativo e, in particolare, l’individuazione del potere che con esso si è inteso esercitare, non è vincolata dalle disposizioni di legge citate, bensì consegue all’apprezzamento complessivo e sistemico del fine perseguito, delle misure che si è inteso adottare, della situazione di fatto su cui si è inteso intervenire” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.4.2024, n.3574) e, più nello specifico, che “Gli atti amministrativi vanno interpretati non solo in base al tenore letterale, ma anche risalendo alla effettiva volontà dell’Amministrazione e al potere concretamente esercitato, cosicché occorre prescindere dal nomen iuris adottato ai fini dell’inquadramento degli stessi all’interno delle tradizionali categorie dell’annullamento, che opera per vizi di legittimità, con effetto ex tunc, e della revoca, in presenza di vizi di merito, che opera ex nunc. Gli atti amministrativi vanno, dunque, qualificati per il loro effettivo contenuto, per quanto effettivamente dispongono, non già per la sola qualificazione che l’autorità, nell’emanarli, eventualmente ed espressamente conferisca loro” (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 24.4.2023, n.1374).
- Nello specifico, richiamato il contenuto del provvedimento impugnato per come già esposto (v. sopra, § 6.1), è evidente che, a prescindere dal nomen iuris richiamato, il Comune ha agito in autotutela ritirando ab imis la procedura oggetto di controversia per aver rinvenuto la carenza di alcuni presupposti essenziali per il legittimo avvio della stessa, presupposti costituiti, nello specifico, dall’indisponibilità della proprietà delle aree su cui realizzare il centro di raccolta di rifiuti oggetto dell’affidamento, nonché della carenza di pareri prescritti dalla legge, necessari viepiù in correlazione ai vincoli esistenti su dette aree. In buona sostanza, ciò che il Comune intende affermare è che difettavano ab origine i presupposti giuridici perché potesse essere legittimamente bandita la gara oggetto di autotutela, essendo all’evidenza –già logicamente prima ancora che giuridicamente- non consentito all’Amministrazione comunale di realizzare un centro di raccolta di rifiuti su un’area su cui non ha alcun potere di intervenire, non essendo ancora di sua proprietà o comunque della quale non ha la disponibilità – e in carenza di pareri delle autorità competenti, attinenti a vincoli di legge esistenti su dette aree.
- Orbene, posta la nota distinzione tra revoca e annullamento in autotutela, nel senso che “Il presupposto dell’annullamento in autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies, l. n. 241/1990 è rappresentato dall’accertamento, da parte dell’Amministrazione, dell’invalidità del provvedimento di primo grado. La revoca costituisce anch’essa espressione di un potere di riesame ad effetti eliminatori ma presuppone un vizio di merito, ossia una ragione di opportunità, non sindacabile in sede giudiziale” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 3.4.2024, n.6430) – ritiene il Collegio che, nei termini ora esposti, il provvedimento impugnato non costituisce dunque esercizio del potere di revoca–tenuto conto che non si indicano circostanze fattuali sopravvenute (essendo la situazione in essere già preesistente) né vengono evidenziati nuovi interessi pubblici ovvero la rivalutazione di un interesse pubblico originariamente considerato e dunque non si opera in termini di opportunità– bensì esercizio del potere di annullamento ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, giustificato appunto dalla necessità di rimuovere delle criticità che inficiavano ab imis, in termini di legittimità originaria, l’intera procedura di gara.
- Ricostruito nei termini di cui sopra il potere concretamente esercitato dall’Amministrazione comunale, le censure di parte ricorrente non inficiano l’atto gravato.
- Le censure spese dalla ditta ricorrente –l’aver cioè l’amministrazione comunale operato in un momento in cui la revoca in autotutela non era più consentita, dovendosi al più disporre, essendo intervenuto il vincolo contrattuale, il recesso dallo stesso con tutte le conseguenze patrimoniali a ciò conseguenti- potrebbero teoricamente attagliarsi all’esercizio del potere di revoca in autotutela, ma risultano evidentemente fuori fuoco nel momento in cui si ricostruisce il provvedimento in termini di annullamento.
- Si osserva, peraltro, che “È possibile, in presenza di vizi genetici, l’annullamento dell’aggiudicazione anche in caso di sopravvenuta stipulazione del contratto, diverso essendo l’ambito del recesso di cui all’art. 109 del d.lgs. n. 50 del 2016, da un lato, e quello dell’annullamento di cui all’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990, d’altro lato, operanti in relazione a fatti sopravvenuti. Non è infatti contestabile, in via generale, il potere di annullamento ex officio, ai sensi di quest’ultima disposizione, dell’aggiudicazione in presenza di un’illegittimità significativa, da ciò derivando la caducazione o privazione degli effetti negoziali del contratto, stante la stretta conseguenzialità tra aggiudicazione e stipulazione del contratto stesso (in termini Cons. Stato, V, 1 aprile 2019, n. 2123; V, 30 aprile 2018, n. 2601)” (Consiglio di Stato sez. V, 01/02/2021, n.938, con riferimento specifico all’aggiudicazione, ma i cui principi di fondo sono mutuabili al ritiro degli atti di gara nel complesso).
- Ad ogni modo la speciale disposizione sul recesso (art. 123 D.Lgs 36/2023) invocata da parte ricorrente a sostegno del proprio interesse (v. p. 4-5 del ricorso), nel prevedere il pagamento all’appaltatore dei lavori eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro “oltre al decimo dell’importo delle opere … non eseguite”, non solo può operare allorché viene lasciata impregiudicata la serie pubblicistica degli atti, incidendo il recesso (ad nutum) solo sul vincolo contrattuale (evenienza non riscontrabile nel caso in esame per le ragioni sin qui espresse), ma presuppone che l’attività affidata abbia avuto almeno un principio di esecuzione, circostanza che nel caso di specie pure difetta.
tratto da: Giurisprudenzappalti