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Domenico Ghirlandaio

    L’11 gennaio del 1494 moriva stroncato dalla peste all’età quarantacinque anni, Domenico Ghirlandaio, la cui arte elegante e colta fu apprezzata da tutta la ricca borghesia fiorentina.

    “Fatto dalla natura per essere pittore”, come afferma Giorgio Vasari, Domenico Bigordi, detto il Ghirlandaio (soprannome ereditato dal padre, un orafo che cesellava ghirlande d’argento come ornamento delle fanciulle) è stato uno dei protagonisti della Firenze medicea. Primogenito di Tommaso di Currado e di una donna di nome Antonia, nacque nel 1449 e fu subito introdotto nel mondo dell’arte. Il padre, infatti, promosse l’educazione artistica in Domenico e negli altri due figli Davide e Benedetto, che in seguito sarebbero diventati pittori e collaboratori del più famoso fratello maggiore, impartendogli lezioni di oreficeria. Tommaso ebbe altri due figli dalla seconda moglie, tra cui Alessandra, che avrebbe sposato Sebastiano Mainardi, anch’egli un pittore, per un certo periodo collaboratore di Domenico nella sua bottega.

    Non sono note tutte le fasi dell’educazione di Ghirlandaio, che secondo Vasari si formò inizialmente con il padre e poi presso il pittore Alessio (o Alesso) Baldovinetti. Quel che è certo è che il 12 maggio 1470 s’iscrisse alla confraternita di San Paolo degli scultori a Firenze, iniziando ufficialmente la sua carriera di pittore. Si mise in mostra da subito, diventando in breve uno degli artisti più richiesti dai signori di Firenze, che apprezzavano il suo stile elegante e raffinato. Influenzato dalla sua esperienza giovanile come orefice, dai modelli classici e dall’interesse per il naturalismo della cultura fiamminga, molto in voga in città a quel tempo, Domenico Ghirlandaio aveva elaborato un ricco linguaggio figurativo che, unito alle sue indubbie capacità tecniche, lo resero uno dei pittori prediletti dai Medici e dalla loro cerchia.

    Per essi realizzò numerosi dipinti sacri in cui le storie religiose erano collegate con luoghi e personaggi contemporanei, spesso gli stessi committenti. Per esempio, nelle storie di san Francesco della cappella Sassetti, nella scena della conferma della regola sono raffigurati come spettatori dell’importante evento anche il committente e alcuni membri della sua famiglia, e Lorenzo il Magnifico in persona. Francesco Sassetti, ricco banchiere, era molto vicino alla famiglia Medici e insieme a Lorenzo Tornabuoni, proprietario nell’omonima cappella in santa Maria Novella, fu uno dei principali mecenati del pittore. Domenico, intanto, riuscì ad aprire una propria bottega, frequentata da un elevato numero di aiutanti e apprendisti. Intorno al 1487 vi faceva parte anche un giovanissimo Michelangelo Buonarroti: egli vi rimase solo per qualche tempo, ma a Ghirlandaio bastò pochissimo per rendersi conto che Michelangelo non era un collaboratore come tutti gli altri: si racconta che un giorno, vedendolo al lavoro, avrebbe esclamato: “costui ne sa più di me!”

    Ghirlandaio amava moltissimo il suo lavoro, tanto che in un’occasione dichiarò che avrebbe desiderato poter affrescare tutte le mura della città. Quest’amore per la pittura lo spingeva ad accettare tutte le commissioni che gli venivano proposte: addirittura raccomandava ai suoi collaboratori di non rifiutare nessun tipo di lavoro, neppure se si trattava di attività semplici come pitturare la cassapanca di qualche nobildonna.

    Nel 1475 si trasferì con uno dei fratelli a Roma, dove affrescò alcuni ambienti della biblioteca di Sisto IV in Vaticano. Nel 1479, tornato a Firenze, iniziò a lavorare per Francesco Sassetti, realizzando per lui un ciclo di affreschi dedicati alle storie di san Francesco nella chiesa di santa Trinità. L’anno successivo sposò una donna di nome Costanza Nucci. Tre anni dopo la coppia ebbe un figlio, Ridolfo, il quale in seguito avrebbe seguito le orme paterne, anche se con meno successo del genitore. Dopo la morte di Costanza, avvenuta nel 1485, si risposò con Antonia di ser Paolo di Simone Paoli, e ne ebbe altri nove figli.

    Nell’ottobre del 1481 aveva nuovamente fatto ritorno a Roma insieme a un gruppo di artisti fiorentini quali Botticelli, per la stipula di un contratto con il supervisore e architetto Giovannino de’ Dolci per affrescare le pareti laterali della cappella Sistina con le storie di Mosè e di Cristo da completare entro qualche mese. Rientrato nuovamente a Firenze, si dedicò ad altre commissioni di prestigio fino alla morte, avvenuta improvvisamente all’età di quarantacinque anni a causa della peste.