Nel Decameron di Boccaccio c’è una cosa che pochi conoscono ma che racchiude uno dei messaggi più belli di tutta la letteratura.
Ecco, ci sono dieci ragazzi, che per sfuggire alla peste nera che imperversa a Firenze fuggono in una villa di campagna. Questi ragazzi sono dei sopravvissuti. Alle loro spalle c’è la morte, il dolore, la sofferenza, eppure scelgono di celebrare la vita. E come lo fanno? Raccontandosi delle storie! Ognuno di loro racconta ai suoi compagni una storia: storie che parlano d’amore, storie divertenti, di coraggio, di rinascita e di sentimenti, storie che rendono più leggeri i cuori e fanno riflettere le anime.
Ma prima di iniziare, fanno una cosa che sembra un’inezia ma che è importantissima: si siedono in cerchio. Scelgono di sedersi in cerchio. Vedete, il cerchio è la figura più bella di tutte: nel cerchio non c’è né un primo né un secondo né un terzo né un ultimo; non c’è un più e un meno importante, nel cerchio tutti contano! Tutti sono sullo stesso piano. Non ci sono barriere che dividono le persone, al massimo c’è un fuoco o una candela nel mezzo che le unisce.
Oggi invece viviamo in una società che ha fatto della competizione un mantra e della sopraffazione degli altri uno stile di vita. Tutti parlano, ma nessuno ascolta. Tutti chiedono, ma pochi danno. Tutti vogliono stare al centro, pochi sanno mettersi in cerchio. Abbiamo dimenticato la bellezza del dare, dell’essere noi. Che cosa vi sta dicendo Boccaccio? Che lo scopo della vita non è vincere. Lo scopo della vita è crescere, amare, condividere. Perché alla fine ciò che conta è come l’hai affrontata questa vita.
Contano le emozioni che hai vissuto, i: “Ti voglio bene” che hai detto, la bellezza che hai cercato e creato.
Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona.