Alla fine del XIX secolo, un ingegnere scozzese cambiò per sempre il modo in cui il mondo era organizzato dividendo il mondo in fusi orari.
Fino a buona parte del XIX secolo, ogni città o regione del mondo era regolata dal proprio fuso orario. Londra, Parigi o Berlino avevano orari diversi, ma questi non erano basati sulla loro posizione rispetto ai meridiani, bensì sulla posizione del sole nel suo percorso giornaliero.
Per secoli questo non sembrò un problema… fino all’arrivo dei treni. Le crescenti connessioni ferroviarie si scontravano con un caos di orari: una stessa linea poteva attraversare decine di fusi orari diversi, rendendo la pianificazione precisa degli arrivi e delle partenze e il calcolo della durata dei viaggi un vero incubo.
Si iniziò quindi a parlare della necessità di adottare una qualche forma di standardizzazione, ma nessuno sapeva bene come farlo. Cambiare l’orario non era un’impresa da poco e influiva sul funzionamento di quasi tutto, dai mezzi di trasporto ai negozi e alle abitudini quotidiane di milioni di persone. Ma la necessità era urgente, dato che l’Europa era sempre più interconnessa.
La soluzione dei meridiani
Fu allora che entrò in scena sir Sandford Fleming, un ingegnere scozzese residente in Canada, che trovò la soluzione al problema. Nel 1879 propose un sistema molto pratico: dividere il pianeta in ventiquattro fusi orari di quindici gradi di longitudine ciascuno, con un’ora standard per ogni fascia e un «tempo 0» basato sul meridiano di Greenwich, che sarebbe stato il riferimento comune per tutto il mondo.
Grazie a questo, gli orologi e gli orari furono finalmente uniformati. Oggi ci sembra naturale, ma all’epoca non fu facile abituare le persone a un orario che non sempre coincideva con l’idea che avevano basandosi sull’altezza del sole. Pensiamo per un momento che, mentre nel Mediterraneo ci sembra naturale che alle 8 di sera ci sia ancora luce in piena estate, a qualcuno in Norvegia questo sembrerebbe del tutto anormale.
La proposta, infatti, non fu facile da attuare e il sostegno delle istituzioni al Congresso internazionale dei meridiani del 1884 fu fondamentale. Lì fu scelto Greenwich come punto zero del tempo mondiale e, sebbene non tutti i paesi adottarono immediatamente il sistema, l’idea di Fleming finì per imporsi. La sincronizzazione permise di coordinare treni, telegrafi e transazioni internazionali. Il suo sistema rese possibile la globalizzazione così come la conosciamo, ma il suo nome, tuttavia, non è molto conosciuto. Fleming non cercava la fama, ma una soluzione pratica a un problema quotidiano.
Una proposta rivoluzionaria
Ma Fleming non si fermò qui. Nella sua ambizione di razionalizzare la misurazione del tempo, propose anche qualcosa di ancora più rivoluzionario: il tempo decimale. Secondo la sua idea, il giorno non doveva essere diviso in ventiquattro ore di sessanta minuti, ma in dieci ore, ciascuna di cento minuti, e ogni minuto di cento secondi. Questa riforma, in teoria coerente dal punto di vista matematico, cercava di unificare i sistemi orari con la logica del sistema metrico decimale, già adottato in altri ambiti come la lunghezza o il peso.
Non era un’idea completamente nuova: infatti, la Rivoluzione francese aveva già tentato di introdurla brevemente nel 1793, come parte della sua rottura simbolica con l’ancien régime. Furono persino fabbricati orologi con quadranti decimali e si tentò di imporre questo nuovo orario nell’amministrazione e nella vita quotidiana, ma la misura fallì clamorosamente: il cambiamento era troppo radicale e confuso per la popolazione, che viveva già secondo i ritmi tradizionali utilizzati da secoli.
Fleming riprese l’idea decenni dopo, convinto che, con la tecnologia moderna e una mentalità più scientifica, avrebbe potuto avere più successo. Ma anche questa volta la proposta fu accolta con scetticismo: a differenza dei fusi orari, che risolvevano un problema reale di coordinamento internazionale, il tempo decimale non rispondeva a un’esigenza oggettiva e la sua implementazione avrebbe richiesto una trasformazione completa non solo degli orologi, ma anche dei calendari, delle abitudini lavorative e di ogni tipo di norma sociale. Moderni sì, ma senza complicazioni.
