Guelfi e ghibellini erano fazioni politiche: i primi vicini a papato e Regno di Francia, i secondi al Sacro romano impero, ma la denominazione è di origine tedesca: ecco perché…
I guelfi e i ghibellini erano i due schieramenti opposti che, dopo la morte, senza eredi diretti, dell’imperatore Enrico V di Franconia (1125), si contendevano il trono del Sacro romano impero.
Le origini. Il termine guelfi è l’italianizzazione di Welfen, la famiglia dei duchi di Sassonia e di Baviera, imparentata con gli Estensi.
Ghibellini deriva invece da Waiblingen, città tedesca il cui castello era abitato dai duchi di Svevia, gli Hohenstaufen.
In Italia I termini “guelfo” e “ghibellino” vennero inizialmente utilizzati in relazione alle opposte fazioni fiorentine e toscane: infatti, data la situazione geopolitica del tempo, in questa regione la contrapposizione tra due gruppi di alleanze familiari si fece più intensa. Nel periodo compreso tra il 1250 e il 1270 circa, il confronto diventò più virulento, creando un precedente che fece scuola per i decenni successivi. Le prime menzioni dei due termini apparvero negli Annales Florentini. Nel 1239 comparve per la prima volta la parola “guelfi”, nel 1242 la parola “ghibellini”. Negli anni successivi le attestazioni divennero più consistenti: ad esempio, esistono un’epistola dei capitani della pars guelforum fiorentina (1246) e una menzione della cronaca di Giovanni Codagnello del 1248. Al contrario, nel secolo precedente lo scontro tra le due fazioni non fu interno alle città ma solamente esterno, in quanto le città guelfe e quelle ghibelline si scontrarono nella più ampia guerra tra l’Impero e i liberi comuni.
Nonostante la preminenza di queste fonti, tale divisione in fazioni non fu esclusiva del contesto toscano, ma si inserì nel più ampio problema dello sviluppo delle parte all’interno dei comuni nell’epoca di Federico II. Infatti, tra la fine del XII secolo e la metà del secolo successivo, si formarono, all’interno di quasi tutte le città, due parte schierate o con il papato o con l’Impero.
Anche a Firenze, nei primi decenni del Duecento, esistevano le premesse che stavano portando in tutta Italia alla formazione delle parti. Più che nella contesa tra Buondelmonti e Amidei del 1216, il fatto che le fazioni si svilupparono in questa fase è testimoniato dai nomi stessi, che fanno riferimento alla contesa, nella successione a Enrico IV, tra la casa di Baviera (Welfen), rappresentata da Ottone IV, e quella di Svevia (originaria del castello di Waiblingen), a cui apparteneva Federico II. A Firenze, le contese locali trovarono una nuova ragione di scontro in questa lotta.
All’interno della città esistevano, come ovunque, una serie di conflitti, che avevano dato luogo a quella che Davidsohn chiamò una guerra civile per il controllo del consolato, cioè del comune, tra i gruppi opposti degli Uberti e dei Fifanti. I conflitti privati sfociarono, poi, nella creazione di vasti schieramenti tendenzialmente polarizzati, come suggerisce la vicenda di Buondelmonti e Amidei (1216).
Fu l’intervento di Federico II a scatenare la formazione di schieramenti destinati a durare nel tempo. Quando l’imperatore fu incoronato nel 1220, il comune di Firenze era impegnato in una disputa con il proprio vescovo attestata sin dal 1218. Inoltre Firenze, alleata con Lucca, anch’essa in vertenza con il vescovo e con il papa, era in guerra con Pisa per motivi di confine. Quest’ultima, che aveva cercato e ottenuto l’appoggio di Federico II, era alleata con Siena e Poggibonsi. Così, quando l’imperatore elargì concessioni ai suoi fedeli, Firenze fu gravemente penalizzata, a differenza di altre città toscane. Ciononostante, nel 1222, l’alleanza fiorentino-lucchese riportò un’importante vittoria a Castel del Bosco.
La stipulazione di una nuova alleanza nel 1228 tra Pisa, Siena, Poggibonsi e Pistoia, in funzione antifiorentina, alimentò nuovamente il conflitto tra Firenze e le altre città toscane, concentrato tra Val di Chiana e Montepulciano. Sia il papato sia l’Impero tentarono la pacificazione con vari mezzi nel corso dei primi anni Trenta. Il legato imperiale Geboardo di Arnstein fallì una mediazione e poi bandì Montepulciano, governata da un podestà fiorentino, Ranieri Zingani dei Buondelmonti. Gregorio IX, approfittando della morte del vescovo fiorentino, insediò un suo fedele, Ardingo, a cui fece emanare costituzioni contro gli eretici. Nel 1232 Firenze, che continuava a rifiutarsi di venire a patti con Siena, fu interdetta e subì il bando imperiale.
Fu chiamato in città un podestà milanese, Rubaconte da Mandello, mandato dal papa in funzione antimperiale. Il nuovo magistrato però si fece promotore di una politica di difesa dei diritti del comune, anche in contrasto con il vescovo (che lo accusò di eresia) e trovò, quindi, il consenso del “popolo”. Quando Federico II, forte della vittoria di Cortenuova, chiese l’invio di truppe per combattere nel Nord, nella milizia scoppiarono disordini tra Giandonati e Fifanti che si estesero all’intera città, portando alla cacciata di Rubaconte. L’ingresso del nuovo podestà, il romano filoimperiale Angelo Malabranca, rinnovò i disordini che erano stati temporaneamente sedati.
Nella seconda metà del Duecento, i termini “guelfi” e “ghibellini”, grazie anche all’egemonia regionale e sovraregionale di Firenze, divennero le parti che appoggiavano rispettivamente il Papato e l’Impero in tutte le realtà urbane italiane.